a cura di Sonia Zarino (architetto, urbanista)

domenica 21 agosto 2016

“Centro” e “Periferia”: due concetti non solo spaziali

di Sonia Zarino

I concetti di “centro” e di “periferia” sono da sempre associati ad una loro rappresentazione spaziale. Già il loro etimo[1], del resto, affonda le radici nella geometria elementare: la parola centro deriva da kéntron, ossia “punto”, riferito alla punta del compasso che segna il centro della circonferenza, mentre periferia deriva da perì, ossia “intorno” e phèreia, dal verbo phèrein  “portare”, descrivendo in questo modo l’atto di curvare e chiudere una linea definendo, così, uno spazio. Se immaginiamo che la figura inscritta entro questa linea curva sia una circonferenza, ecco che la relazione tra centro e periferia appare geometricamente individuata, poiché il raggio della circonferenza è la distanza che separa le due entità.

La circonferenza ed il centro si prestano a rappresentare quella che è stata per lungo tempo la forma urbana, dal villaggio fortificato in poi: un insieme denso di edifici nettamente separato dal resto del territorio da un perimetro chiuso, costituito per lo più da mura, al cui interno era possibile individuare una zona centrale che ospitava le funzioni più importanti e collettivamente significative: la piazza, il mercato, il tempio, e così via.

Se pensiamo alle numerose rappresentazioni delle città che gli antichi cartografi hanno realizzato nei secoli scorsi, possiamo agevolmente verificare quanto sopra affermato: la città è tale proprio perché la sua forma la separa nettamente dal contado rurale. Essa è un punto di aggregazione socio-economica dove i prodotti del territorio circostante vengono venduti e scambiati con altri prodotti e servizi, generando una economia mercantile del tutto distinta da quella rurale, seppure con essa fortemente collegata, che promuove e diffonde modelli culturali peculiari dell’ambiente urbano[2].

Quando, già alla fine dell’800, le città abbandonano la forma murata quale sistema difensivo, si assiste ad una progressiva espansione dell’edificato nel territorio circostante, e le città arrivano ad inglobare quartieri e borghi rurali in un continuum sempre più destrutturato. 

Ai giorni nostri, l’espansione urbana ha assunto forme per così dire patologiche, dilagando spesso in modo disordinato sui contesti rurali, distruggendo identità e trame territoriali che si erano fin qui conservate e davano vita ad una pluralità di paesaggi di alto valore oramai fortemente compromessi da interventi edilizi omologanti e di nessuna qualità.
Termini quali “centro” e “periferia” non sono più applicabili spazialmente, come in passato, quando si potevano correttamente utilizzare in riferimento alla città storica. E’ venuto meno il margine che definiva l’interno della struttura urbana rispetto all’esterno rurale, si sono affermate nuove polarità “concorrenti” rispetto a quelle tradizionali che hanno perso la loro univocità.

E’ emerso così  il concetto di città “policentrica” dove il sistema urbano si scompone in una serie di centri tra loro interconnessi anche grazie alle reti di trasporto pubblico e privato che hanno di fatto “avvicinato” luoghi che in passato erano percepiti come entità ben separate e distinte. 

Lo spazio periferico è diventato lo spazio interstiziale tra questi centri in grado ormai di calamitare l’interesse culturale, economico, amministrativo della società moderna. Le grandi città sono caratterizzate da questa struttura “spugnosa” dove il “pieno” delle aree vitali e ricche di attività si alterna al “vuoto” delle zone dismesse, degradate e quindi periferiche. Un vuoto, si badi bene, non necessariamente fisico, perché in moltissimi casi trattasi di aree costruite, e successivamente svuotate di funzioni e abbandonate a se stesse.

E’ evidente che descrivere il centro e la periferia nel modo in cui il loro etimo suggerisce appare oggi non più pertinente, e occorre quindi analizzare cosa caratterizza le due entità, cosa ce le fa istintivamente riconoscere al di là della loro collocazione spaziale.

Centro vs Periferia: vecchie e nuove antinomie

In quale modo possiamo, oggi, analizzare il significato di parole come “centro” e “periferia”? Il metodo da noi proposto è quello di indagare quali concetti comunemente, al giorno d’oggi, vengono associati ai due termini, nel tentativo di giungere ad una definizione che prescinda dal dato puramente spaziale, che abbiamo visto non essere più sufficiente.

Proponiamo qui una scelta di questi concetti, non pensando sia esaustiva: la proponiamo quale griglia concettuale utile per sviluppare un’immagine diversa attorno al binomio “centro-periferia”, un’immagine che si arricchisce di elementi sociali, economici, etici, estetici, sensoriali e che aiuta, pensiamo, ad avere una visione non più solo “bidimensionale”, geometrica, ma che trae da punti di vista molteplici gli elementi per ricostruire e analizzare il funzionamento dei fatti urbani. 

CENTRO
PERIFERIA
positivo
negativo
sicurezza
insicurezza
benessere
disagio
ricchezza
povertà
occasioni
esclusione
integrazione
ghettizzazione
varietà
monotonia
cura degli spazi
degrado degli spazi
densità
diradamento
identità
alienazione
 

Proviamo a pensare, facendo ricorso magari alla nostra esperienza personale, ad un luogo considerato come “centrale” di una città e ad un altro considerato quale “periferico”. Già in partenza dire che un luogo è centrale o periferico implica spesso un giudizio di valore, positivo nel primo caso e negativo nell’altro. Il motivo per cui ciò avviene è determinato da diversi fattori: ad esempio, quando ci troviamo in zone che percepiamo come centrali avvertiamo, nel complesso, un senso di sicurezza[3] : essere in luoghi frequentati a tutte le ore del giorno e della notte è sicuramente più rassicurante rispetto al trovarsi in luoghi dove la presenza di altri cittadini è più scarsa, e che percepiamo anche per questo come periferici; 

L’essere in una zona centrale, ci dà un senso di benessere dovuto anche alla possibilità di accedere facilmente alle molte opportunità di lavoro, e di svago, ai servizi pubblici, e così via, diversamente a quanto accade per chi si trova in zone desolate e senza vita, che sperimentano così varie forme di disagio, da quello socio-economico a quello culturale.
Notiamo, per inciso, come già in questi primi casi tali antinomie siano completamente svincolate dall’aspetto spaziale, ovvero non si riferiscono necessariamente ad aree collocate geograficamente  ai margini dell’entità urbana considerata.

Le aree centrali presentano di norma valori immobiliari più elevati, e anche il costo della vita è maggiore, ciò che segnala di norma status sociali corrispondenti di coloro che abitano in tali zone. Esse sono inoltre anche più ricche di servizi e di attrezzature collettive (es.: parchi, giardini, musei, biblioteche, teatri, ecc.). 

Quelle centrali sono inoltre aree dove vi sono maggiori opportunità di scambio e di incontro: per stringere amicizia, per fare affari, per ottenere un lavoro. Le aree periferiche sono all’opposto molto più povere in termini di occasioni di questo genere, ed ospitano spesso categorie deboli che per qualche motivo risultano escluse dai flussi sociali più dinamici.
Le maggiori opportunità date dalle aree centrali sono inoltre riscontrabili in molti altri campi: nell’offerta culturale, nell’accesso ai servizi (pubblici e privati), nell’accesso alle reti di comunicazione fisiche e immateriali. 

Questo ha una diretta conseguenza sulle maggiori o minori possibilità di integrazione. Se nei quartieri centrali sono la ricchezza e varietà di occasioni di scambio a favorire l’integrazione e la condivisione di valori, nelle aree periferiche all’opposto si nota una certa tendenza alla segregazione per gruppi chiusi su basi etniche, religiose, ecc.

La varietà è un altro aspetto che nelle aree centrali trova la sua realizzazione: varietà e mescolanza nelle forme edilizie, nelle funzioni, nelle proporzioni urbane e nei ceti sociali. In queste aree la vita scorre e pulsa ad ogni ora del giorno e della notte. Le aree periferiche al contrario sono spesso caratterizzate da una monotonia tanto formale quanto funzionale: si pensi ad esempio ai quartieri “dormitorio” o alle grandi concentrazioni commerciali, la cui vita è limitata alle ore dello shopping. Seguendo questa metodologia, tuttavia, appaiono periferici tanto alcuni noti quartieri popolari quanto i sobborghi di lusso dove le ville si susseguono isolate e quasi barricate nei loro rigogliosi parchi e giardini.

Le zone centrali sono identificabili anche per l’aspetto particolarmente curato e ordinato, dotate di attrezzature pubbliche (giardini, piazze, illuminazione, ecc.) mentre le aree periferiche hanno spesso un aspetto trasandato e inospitale, con attrezzature pubbliche carenti o inesistenti dovute spesso a fenomeni di vandalismo.


Le zone centrali sono  inoltre caratterizzate da una notevole densità del tessuto edilizio, che presenta una struttura ben riconoscibile e una gerarchizzazione tra le varie componenti (gli spazi pubblici, i vari tipi di tessuto residenziale, gli edifici specialistici, ecc.), mentre le zone periferiche, specie di recente insediamento, si presentano di norma composte da elementi edilizi incapaci di instaurare un dialogo con quelli circostanti, e sono edifici che sembrano perdersi in spazi vuoti che non creano identità ma alienazione.

Uno spazio è in definitiva centrale o periferico non solo e non tanto in virtù della sua collocazione spaziale all’interno di un tessuto urbano, ma anche a seconda che presenti quelle caratteristiche (tutte o in parte) che abbiamo elencato. Analizzare i diversi livelli di “centralità” o di “perifericità” può aiutare a capire i meccanismi che ne determinano l’insorgenza e di conseguenza porre in atto opportune azioni correttive, che necessiteranno di volta in volta di diverse competenze (urbanistica, sociale, economica, ecc.) nell’intento di diminuire le aree di disagio e di depauperamento territoriale  e socio-economico.





[1] Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana - http://www.etimo.it/
[2] Emblematico il caso di Roma, il cui nucleo primigenio è da collocarsi nell’area  dell’attuale Foro Boario, sede di  scambi commerciali sin dalla fine dell’VIII secolo a.C.(Cfr. F. Coarelli, I santuari, il fiume, gli empori, vol. 13, pp. 129-134).
[3] Cfr. J. Jacobs, Vita e morte delle grandi città - Einaudi

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